Inserire una testimonianza
sergio (roberto melai - domenica 12 dicembre 2010)
Scrivo molto tempo dopo l‘ultimo intervento registrato sul sito. In tutti questi anni ho colto fugaci accenni all‘esistenza della Fondazione ma non ho mai avuto la prontezza di approfondire. Poche sere fa a cena con Alfredo è stata l‘occasione per parlarne ed ho deciso di aderire. E così poco fa, quando mi è arrivata la mail di Alfredo con il link, sono entrato nel sito ed ho letto molti dei vostri interventi. Commoventi davvero tutti. E muovono a scrivere anche se mi sento un pò un intruso e non avrei mai pensato di farlo.
No Sergio non lo conoscevo a fondo come emerge da molte delle vostre testimonianze. Ma come per molti di voi è una presenza che si staglia forte nella memoria e circondata di affetto. Non eravamo amici nel senso pieno della parola, ma avevamo molti amici in comune Betto, Paolo ed Ambra soprattutto e negli ultimi trent‘anni la nostra vita aveva epicentro nello stesso gruppo di persone, più o meno coetanei, con i figli che crescevano assieme tra il San Luigi e il Colombo, legati da rapporti profondi e consolidati. I miei ricordi sono soprattutto legati a qualche visita nel suo studio, perennemente in penombra anche in pieno giorno, nel palazzo di Checco Crosa, in occasione di matrimoni di amici o di parenti; alla sua mostra a Busalla in cui ha regalato un manifesto autografo ad una emozionata Caterina, mia figlia, e ad una vacanza a Longiarù dove ho raccolto un bellissimo porcino lungo un sentiero affollatissimo subito fuori l'abitato, quasi sotto i suoi piedi e sotto il suo sguardo divertito e sorpreso. Ma soprattutto a casuali incontri per strada, in Corso Carbonara piuttosto che a De Ferrari o nei vicoli del centro storico. Mi salutava sorridendo e si fermava, quasi avessimo un appuntamento. In lunghe ed appassionate chiacchierate in piedi discutevamo quasi sempre di politica prendendo spunto da quanto succedeva in città. Talvolta lo mettevo al corrente delle mie disavventure professionali, del mio sbattere contro i muri dell‘ignoranza dei politici o della stupidità dei tecnici delle amministrazioni pubbliche. Lui per quanto avesse frequentato poco la professione era immediatamente partecipe, si meravigliava, si indignava, aggiungeva qualche elemento che aveva raccolto in giro, filtrato da una coscienza pienamente laica, a tutto tondo, di chi sta al mondo con l‘occhio sgombro da mistificazioni. Un occhio che gli consentiva di intravedere quella realtà parallela con cui ci ha amabilmente soggiogato. Nelle vostre lettere parole come bellezza, colori, poesia, vento, sole, omini, sogno/i, si rincorrono trasportandoci immediatamente come per magia –ancora un‘altra parola ricorrente- in un mondo fantastico venato di ironia affettuosa ed umorismo; non una realtà in cui rifugiarci o consolatoria, ma piuttosto la proposta di un lieve slittamento di senso in ciò che ci circonda, per rassicurarci e infonderci fiducia e forza. La pacca sulla spalla di un amico.
Scusate il ritardo (Barbara Vagnozzi - mercoledì 20 settembre 2006)
Scusate il ritardo.
Uno dei miei tanti difetti è proprio quello di fare le cose sempre un po‘ dopo il necessario.
Per timidezza, o solo perchè alcuni funzionano a velocità diverse da altri..
Un saluto a Sergio non solo è doveroso, ma tanto tanto sentito.
Sono tanti anni che non vivo più a Genova, e purtroppo riesco ad andarci così poco che quasi me ne vergogno.
Però i luoghi si apprezzano diversamente da lontano, e comunque ti rimangono dentro come una traccia indelebile del tuo essere. I luoghi e le persone.
La scomparsa di Sergio è la scomparsa di un pezzetto della mia Genova. La Genova dei palazzi improbabilmente signorili del centro antico,dei rumori delle botteghe, del profumo di focaccia di fiore, delle persone riservate all‘inverosimile ma piene di affetto da dare a chi entra nella loro vita.
Ho diviso lo studio di Canneto con Sergio per alcuni anni.
Due orsi diffidenti e gelosi della propria orsaggine e tendenza alla solitudine.
E‘ stato divertente vedere trasformare questa iniziale diffidenza in una confidenza gradevole e amichevole. Chi entrava nella nostra grande stanza vedeva un confine, dato da una libreria sghemba e disordinata (la mia) piena di riviste e libri raccolti con passione maniacale (ma cosa sarà mai il minimalismo?).
Da una parte una sedia a sdraio e una scrivania bella ordinata, spazzolata ogni sera alla fine della giornata di acquarello di sergio. Dall‘altra una poltrona pacchianissima e barocca e un marasma di lavori sovrapposti e in attesa di essere finiti, mai uno solo per volta.
Non credo che sergio abbia mai apprezzato il soul o il jazz delle mie cassette, o la radio che tenevo accesa tutto il giorno.
Ma la cosa carina erano le chiacchiere condite da focaccia, ogni mattina, su ogni argomento possibile, d‘accordo su tutto, a smontare il mondo e rimontarlo ogni po‘.
Lasciare lo studio di via canneto per andare a vivere a bologna è stato la parte più difficile del trasloco.
Per questo ogni volta che passavo da Genova, salutare Sergio e lo studio,e i vicoli, era un appuntamento fisso.
Ed è proprio così che ho saputo della malattia, un giorno che il telefono suonava a vuoto…….strano, ma dove sarà andato?
Un abbraccio grande Sergio, dovunque tu sia.
E un bacio a Piera e Chiara.
Buonanotte, Sergio (Roberto Stasio - lunedì 18 settembre 2006)
Ho conosciuto Sergio una decina di anni fà.
Mi piacevano molto i suoi lavori pur senza conoscerlo e consigliai ad un amico di commissionargli un'illustrazione per il calendario della sua azienda.
Così iniziammo a frequentarci e scoprii - oltre all'artista - l'uomo Fedriani, così gentile, ironico, pacato, una persona per bene.
Comprai ovviamente diverse sue opere regalandole spesso a mia moglie che era diventata, anch'essa, una sua fan.
Oggi quei quadri sono tutti appesi nella nostra camera ed è bello prima di spegnere la luce, vedere un suo disegno e darci, tutte le sere, la buonanotte. Buonanotte Sergio!
quando muore un amico (angela longobardi - mercoledì 21 giugno 2006)
cosa dire quando muore un amico, non ha importanza la tempestività con la quale ricevi la notizia, il senso di vuoto, rimorso, paura. ti prende e non puoi fare a meno di cercare, freneticamente, una sua immagine per recuperare più nettamente quel ricordo. il giornale era lì sul tavolo, non sapevo neanche perchè avevo conservato quella pagina, forse per poter leggere, successivamente, la recensione di un articolo su di un film che sarei andata a vedere. e invece, poco sotto, leggo che tu, sergio, non ci sei più. guardo la foto che ti ritrae, ma non sei tu, non quello che ho conosciuto tra i banchi di facoltà; o meglio gli occhi, il sorriso, i capelli, ma ti ricordo diverso con colori autunnali, velluto e fustagno, una sciarpa, tra contestazione e borghesia, in quegli anni che per me furono magici. sapevamo di poter cambiare il mondo, il nostro, ed era già molto. ti ricordo con andrea, enrico, roberta, quante risate e quante idee e speranze. perchè? perchè?........... non ci siamo più visti, ma ho sempre sperato di poterci incontrare, magari ad una mostra, in piazza, al cinema. e tu invece ora non ci sei più, cosa rimane? tanto credimi. ciao angela
ciao Sergio (Andrea Musso - martedì 30 maggio 2006)
Un rammarico: esserci un pò persi per strada in questi ultimi anni.
Una colpa: la mia di non averti cercato di più.
Un pensiero e quasi una certezza: che comunque ci fosse tra di noi un affetto e una amicizia che veniva da lontano e riaffiorava nei nostri incontri casuali in Matteotti, in Canneto o nel mio studio per i lavori che spesso fortunatamente ci coinvolgevano e ci facevano incontrare.
Un ringraziamento: avermi aperto la strada dei colori e dei segni.
Una speranza: essere in qualche modo vicino a Piera e Chiara.
Andrea
Siete bella gente (Roberto Giromini - martedì 16 maggio 2006)
Ho conosciuto Sergio molto superficialmente in varie occasioni quasi sempre a casa di Ferruccio o a qualche mostra e ora mi dispiace molto non aver goduto di più della sua conoscenza, per quel poco che l'ho frequentato non posso che essere d'accordo con tutti i lusinghieri commenti che qui ho letto, (anche a me ha lasciato qualcosa dentro - era davvero una persona non comune, una persona che sapeva ancora sussurrare in questi tempi urlati).
Ho scorso tutti i commenti e ho finito con le lacrime agli occhi perché traspare in ogni messaggio la stima e l'affetto sincero che vi unisce tutti quanti... siete "bella gente"!
Un ricordo di Sergio (Benedetto Besio - mercoledì 12 aprile 2006)
Dei tanti ricordi, struggenti, che ho di Sergio, vorrei parlare di una foto, scattata a Palermo, che lo ritrae mentre, in piedi, disegna uno schizzo della facciata di una chiesa: uno degli appunti da cui traeva le cartoline che spediva a noi amici, che le attendevamo come i regali più graditi.
In ogni viaggio dedicava una giornata a questa piccola produzione.
Si sedeva a un tavolino, magari all‘aperto, con un bicchiere di vino e i piedi nudi nella sabbia di una spiaggia, davanti al mare luccicante nell‘aria pulita dal vento; apriva il suo astuccio da viaggio contenente matite, acquerelli, pennelli e piccole mollette da bucato per tenere fermi i fogli che portava, già tagliati, da casa..
Poi riprendeva il taccuino con gli schizzi, dove aveva annotato al margine i colori da usare, e iniziava dipingere le cartoline.
Una volta asciutte, dopo averne regalata una a ciascuno dei compagni di viaggio, iniziava a scrivere gli indirizzi degli amici lontani, con quella calligrafia amatissima; poi, se possibile, cercava i francobolli più adatti: ogni cosa era curata, non solo per necessità di forma, ma per una gentilezza profonda che non veniva mai meno.
Gli amici che erano presenti amavano molto assistere a quella operazione, in cui si manifestava tutta la grazia di cui era capace Sergio: con velocità e leggerezza, senza fatica apparente, e senza ripensamenti, su quei fogli si fissavano la luce, i colori, perfino gli odori dei paesaggi o delle città o delle architetture che avevamo visitato insieme.
Sergio svelava a noi stessi le nostre emozioni.
Ecco perchè quella foto palermitana, scattata un po‘ per caso come tutte le foto, mi è molto cara: perchè rappresenta il desiderio di noi amici di poter guardare con gli occhi di Sergio; mettendoci alle sue spalle sapevamo di poter intravedere, attraverso il suo sguardo chiaro di poeta, la bellezza del mondo e, in fondo, anche la parte migliore di noi stessi, commuovendoci ogni volta.
Fedrianità (Marco Vimercati - domenica 12 marzo 2006)
Mi sono molto rammaricato per non essere stato capace di scrivere né di dire niente a proposito di Sergio nei mesi successivi alla sua morte. Adesso ne sono contento: le mie parole sarebero state troppo scure, troppo dissonanti rispetto alla sua tavolozza.
Adesso i miei ricordi ritornano ai giorni del Politecnico, ai nostri ritorni a casa in autobus chiacchierando sugli allievi, alle riunioni, agli esami.
Come ha scritto bene Giromini, risulta davvero difficile o impossibile pensare che Sergio fosse antipatico a qualcuno, ma non solo. La sua presenza e il suo modo di affrontare le situazioni mettevano quella nota di Fedrianità nelle cose, che aveva spesso un ruolo risolutivo.
Cos'è la Fedrianità? Qui veniamo al dunque. Questo è quello che io ho visto, e anche imparato da Sergio. Fedrianità vuol dire mettere sempre in gioco la dialettica tendendo artisticamente una corda tra gli opposti. E' un concetto troppo filosofico? Per capire, basta guardare qualche suo acquerello, ma io mi riferisco a Fedriani uomo, più che alla sua produzione artistica. Quindi mi spiego meglio: vuol dire affermare con estrema forza una cosa usando un tono delicato, vuol dire indignarsi mantenendo sempre una nota di comprensione, vuol dire fare una confidenza a qualcuno senza perdere la riservatezza, vuol dire rabbuiarsi senza perdere l'ironia. E tante altre cose di questo genere. I miei colleghi pubblicitari direbbero che è un lifestyle.
Da quando l'ho conosciuto, questa sua caratteristica, questa capacità di rendere veri gli ossimori è stata per me un esempio e penso che, come me, molte persone ne avrebbero bisogno.
Ecco perché scrivo su Sergio solo adesso. Perché un po' di mesi mi hanno permesso di recuperare ricordi sereni e quindi di aggiungere un po' di colorata Fedrianità a un blu di Prussia intenso e profondo.
con grande affetto
Un ricordo di Sergio Fedriani (Guia Croce - lunedì 30 gennaio 2006)
Vorrei dirvi, sì, il mio dispiacere per Sergio ma soprattutto passarvi questo ricordo che ho di lui, l‘unico che non abbiamo in comune.
Per alcuni anni io e Sergio ci siamo incontrati al Salone del libro per ragazzi a Bologna, la prima volta per caso, le altre quasi per forza visto che giravo tutti i padiglioni finché non lo trovavo. Per me la fiera non era conclusa finché non vedevo “il mio amico Sergio” (ironizzavano i colleghi). Era una tradizione. E quando vedevo quel bel faccione da crucco, quei baffoni démodé, quegli occhi sorridenti e dolci, ma soprattutto sentivo quella voce pacata, sorridente anche lei, gentile (forse un po‘ troppo per me sordastra) allora mi sentivo a casa, come il contadino che incontra il compaesano in città. Ci dicevamo due cazzate cavesi, due rimembranze malojesche, due promesse di tresette e ciò bastava a farmi tornare contenta in albergo.
Sergio aveva su di me un effetto piacevolissimo, una sensazione di calma e sicurezza come il vecchio maglione di casa. Non ci vedevamo per anni, ma appena ci incontravamo l‘intimità e la piacevolezza riprendevano a scorrere scintillanti. Non mi capita con tutti, anzi. Ma questo era un pregio di Sergio, pregi umani (oltre l‘arte) merce rara.
Con infinita tristezza (Federica Cassini - martedì 24 gennaio 2006)
Carissima Piera,
con infinita tristezza ho saputo della malattia e della morte di Sergio. L'ho conosciuto appena, non ho quasi mai parlato con lui, ma immediatamente ho percepito una sensibilità e limpidezza rari, un'anima speciale.
Spesso, da lontano, ti ho pensata sentendomi inadeguata a parlare del tuo dolore perchè ci conosciamo appena; una sorta di stupido imbarazzo che nasce dal rispetto profondo per l'altrui sofferenza.
Non conosco belle parole che consolino il tuo dolore e anche ne avessi non le userei per lasciarti libera con le tue emozioni, per non essere invadente.
Ti sono vicina con un sorriso e con il silenzio, con la rabbia e con l'impotenza, sicura che non ti perderai mai perchè hai amato un'anima eletta.
Il mio primo ricordo (Paola Ivaldi - venerdì 20 gennaio 2006)
Il mio primo ricordo di Sergio risale alla mia prima media. Era l'unico dei maschi "grandi" che non mi incutesse terrore per gli scherzi di cui erano vittime ragazzine graziose ma timide ed impacciate, al limite della demenza, qual ero.
L'ho ritrovato all'Università e da allora ci siamo incontrati e incrociati mille volte nei luoghi dove interessi comuni ci portavano. L'ultimo era con mio figlio Michele a De Ferrari, credo fosse il giorno prima del suo ricovero e nulla nel suo sorriso e nella sua voce pacata poteva far supporre che cosa gli si stava scagliando addosso. Del resto l'hanno detto in tanti, meglio e prima di me che Sergio è una persona veramente speciale. Come i suoi disegni profondi e garbati, spiritosi e intelligenti. Guardarli sui muri di casa mantiene viva la sua presenza e vorrei dire che riescono a darmi un attimo di allegria.
Non ho cose particolari da dirti (Benedetto Montanari - mercoledì 18 gennaio 2006)
Non ho cose particolari da dirti, cosa si può mai dire a chi ha da convivere con un dolore così grande, e quindi queste righe vorrebbero essere un po‘ un lungo abbraccio, un modo per farmi sentire vicino anche se ci vediamo così poco.
Io non posso dire di essere un vostro amico intimo, ma vorrei che sapessi che porto dentro una pena grande, perché anche non frequentandoci sento una grande affinità con voi. Se posso dire una cosa di Sergio è che gli si voleva bene a prima vista, ma non devo certo raccontarlo a te. Sai, io non sono un uomo di cultura, come dice Betto sono uno “zappaterra”, ma Sergio aveva un modo così dolce e garbato di conversare che riusciva a cogliere le poche cose che so e a nobilitarle, non so come dire, dava dei riferimenti culturali anche alle mie banalità e mi faceva sembrare di aver detto delle cose intelligenti.
Insomma volevo dirti che vi penso spesso e che è scontato che tu possa contare su di me nel caso potessi esserti in qualche modo utile.
Perdona la pochezza delle mie parole e abbraccia la vostra Chiara da parte mia.
Lettera a Chiara e a Piera (Roberto Sitia - domenica 15 gennaio 2006)
Cara Chiara, cara Piera,
il mio primo impulso sarebbe di ringraziarvi. Ma come ha detto Ferruccio, in certe occasioni non si applaude, anche se il cuore vorrebbe. Non per convenzione, certo, ma per adesione completa allo stile di Sergio, dolce, sensibile e presente ma mai invadente.
Come ho detto stamani, l‘atmosfera che regnava nella sala è stata la spiegazione migliore di come il termine simpatia sia passato dall‘accezione classica, soffrire insieme, all‘odierno significato, del tutto positivo. C‘è infatti un lato positivo nella sofferenza, se questa è vissuta insieme a persone care, simpatiche appunto. Quando mancò mio cognato, anch‘egli nel pieno della sua vita, professionale, di marito e padre di figli giovani, di amico e guida per tanti, la chiesa di Mango era gremita. Il sacerdote, un simpatico Langarolo suo amico, fece una lunga omelia tesa alla catarsi del dolore, alla fuga collettiva da esso verso mete astratte. Per Langarolo e amante del buon vino che fosse, prete rimaneva. Avrei voluto intervenire anche allora, ma non ne ebbi il coraggio. La chiesa non stimola ad esporsi, ad assumersi le proprie responsabilità. Oggi, insieme agli amici cari, mi avete dato la forza di farlo, e ne sono grato a voi e a Sergio. L‘ambiente profondamente laico, le musiche struggenti, le parole e gli sguardi di molti vecchi e nuovi amici hanno facilitato il compito, come un naturale corollario, l‘intrecciarsi di esistenze che vanno a formare un filo robusto e continuo.
Purtroppo, il dolore talvolta arriva. Ma quando ciò accade, cerchiamo di non fuggire disordinatamente. Viviamolo insieme alle persone care, forti dei valori che fanno della nostra esistenza un‘esperienza ‘simpatica‘ che continua nei figli, negli amici, nella società che abbiamo contribuito a creare.
L‘intensità di una sofferenza condivisa è pari, se non superiore, a quella della gioia più grande. Entrambe passano immediatamente nei ricordi più profondi, quelli che vanno immediatamente a costituire la nostra identità. Cos‘è ognuno di noi se non la somma dei nostri ricordi, delle esperienze che davvero segnano la nostra vita e il nostro crescere. Nessuno di coloro che erano presenti dimenticherà l‘intensità del sentire comune di oggi. Questo è l‘ennesimo regalo che ci fa Sergio.
Guardando i molti giovani presenti, occhioni lucidi ma spalancati, mi veniva da pensare a come si tramanda una cultura, alla capacità che ognuno di noi ha di contribuire a creare una memoria collettiva. Sono certo che quanto abbiamo vissuto oggi, grazie a Sergio e alla sua storia, sarà un pilastro nella loro esistenza, ben più di tanti libri o lezioni.
Tra le parole che mi hanno toccato di più, quelle dell‘infermiera dell‘Evangelico. In una stanza col sole il sole più luminoso era lui. Continuerà a brillare nel profondo di tutti noi.
Come stamani, concludo con una frase che potrà apparire un po‘ retorica: Di uomini così non sia mai povera l‘Italia. La scrisse lo Zio Ninni per salutare mio fratello Leopoldo, medico amatissimo che mancò 33enne, sette giorni dopo la nascita di suo figlio. Per questo sono affezionato a questa frase, e con tutto il cuore la dedico a Sergio.
Con grande affetto
Bob
P.S. temo che per Piera non ci sia nulla da fare, ma Chiara, volessi esercitarti un po‘ a tressette?
Sergio Fedriani insegnante (Flavia Botto - domenica 15 gennaio 2006)
Sergio è stato mio insegnante al Byron insieme a Benedetto. Quando l‘ho conosciuto lo vedevo come insegnante appunto, come maestro…con il passare degli anni l‘ho sempre sentito per telefono un paio di volte l‘anno, diverse volte sono andata al suo studio.
Effettivamente non posso dire di averlo frequentato ma nonostante ciò quando Benedetto mi ha avvisato della sua malattia ho sentito un profondo dolore e ho partecipato da lontano con le notizie che avevo sempre da Betto.
Stamattina lo abbiamo salutato ma anche per me come per tanti non è stato un saluto triste, voglio dire che mentre ascoltavo le parole e la musica pensavo, mi sforzavo di pensare a Sergio luminoso, sorridente, simpatico e ironico, nel suo studio pieno di cose, carte, colori, dove in ogni angolo si può scoprire qualcosa di bello, come era lui.
Non trovando altro modo ricorro alle parole (Franco Basso - sabato 14 gennaio 2006)
Sergio è andato via
seguendo le aeree
prospettive dei suoi disegni
ma ha lasciato dietro di sé
monete d‘oro
sparse nelle nostre case.
Come Saint-Exupery
é scomparso tra le nuvole
senza scrivere la parola fine.
Se fossimo bambini
staremmo lì con il naso
per aria
ad aspettarne il ritorno,
indefinitamente.
Se fossimo incalliti sognatori
costruiremmo una scala
o coltiveremmo una pianta
magica
per raggiungerlo.
Se fossimo tutto ciò che non siamo
non crederemmo nella vita
e cercheremmo d‘inseguirlo.
Invece noi tutti sappiamo
che quell‘infinita schiera
di palloncini colorati
sui quali c‘è un nome
e che s‘innalza senza sosta
verso il cielo è come
il desiderio della falena per la stella,
della notte per il domani,
la devozione per qualcosa di lontano
dalla sfera del nostro dolore.
Per Sergio (Giorgio Bafico - sabato 14 gennaio 2006)
Sono passato ma non eri in studio, chissà?
Ho saputo che ci sarà qualcosa che ti riguarda in via Lomellini...
Sai come la penso sulle inaugurazioni, manifestazioni, presenzialismi etc. Ne abbiamo parlato, permango nella saturazione ed astensione.
Non ti garantisco ma può darsi che per te faccia un'eccezione; fai pure uno dei tuoi risolini che ben conosco...
Anche se preferirei incontrarti accidentalmente, senza civili accordi, la dove non bisogna andare, perchè ci si è già inavvertitamente ed è inutile venire via, illudendosi di recarsi altrove.
Saluta le ragazze, a presto.
Un ricordo (Valeria Ghiron - sabato 14 gennaio 2006)
Mi ricordo di voi quando venivate a trovare gli zii a Cervo.
Una volta, mentre mi cimentavo malamente con acquerelli e gelatine, Sergio mi diede alcuni consigli, in modo semplice senza alcuna superiorità.
Dopo il 1998, quando mi trasferii con Filippo in S.Maria di Castello, mi capitava sovente di incontrarlo in piazza Matteotti e di scambiare due chiacchiere. Era sempre molto gentile, di quella gentilezza attenta, niente affatto superficiale. Mi capitava anche di salutarlo mentre era seduto a chiacchierarare con qualcuno al bar Capitan Baliano.
Iniziai a incontrarlo davvero spesso quando venni a vivere dalle vostre parti. Durante i nostri colloqui , che potevano avvenire nell'ascensore di Montegalletto o sugli autobus che salivano per corso Dogali, sollecitato dalle mie domande, mi raccontava della Don Milani e del fatto che Piera ne fosse orgogliosa.
Più facilmente,però, il discorso cadeva sul nostro quartiere. Una volta parlammo del castello D'Albertis: era molto contento della sua riapertura e mi disse che "come amico del museo", si era impegnato affinchè diventasse un centro di promozione culturale.
Un'altra volta mi indicò la vostra casa e raccontò con rammarico di un grande albero che era stato abbattuto per far posto a un parcheggio.
Mi spiegò del passaggio dell'Orto Botanico a via Balbi che io non conoscevo.
Altre volte, soprattutto le ultime, il discorso cadeva sui figli: allora io gli raccontavo della piccola Natalia che cresceva, che avrebbe iniziato l'asilo...lui mi parlava con grande orgoglio di Chiara così in gamba, che gli dava tante soddisfazioni! Pur nella pacatezza che lo caratterizzava si percepiva il grande amore che percepiva per lei.
Intervento in occasione del funerale di Sergio (Gennaro Picardi - giovedì 12 gennaio 2006)
Caro sergio
Che cos‘e‘ un amico?
Che cos‘e‘ un compagno?
Che cos‘e‘ un sorriso?
Che cos‘e‘ la ricerca di un mondo migliore?
Un mondo limpido, pieno di amici?
Pieno di sorrisi e di speranza?
Ebbene a nome di Piera e Chiara e di tanti e mio, adesso finalmente te lo possiamo dire:
fortunati noi che siamo stati con te,
e noi che siamo qui con te adesso.
E del gioiso mondo cosi‘ ricco di tanti ricordi, no, non ce ne sono di brutti, davvero ci ho pensato e ripensato ma niente, neppur uno.
E di quel ottimismo contagioso, lo schietto pensiero, il baffo sornione, l‘innata generosita‘ eccetera
E della schiera infinita di omini sempre pronti a darti una mano:
ti stanno a sentire ti aiutano a capire, volano, fanno le piroette, leggono un libro, ti guardano di sottecchio, ci parlano dai muri,
insomma
Caro amico bando alle chiacchiere
Un grande, lungo abbraccio.
Ho visto la faccia di Sergio (Luisa Felletti - giovedì 12 gennaio 2006)
Stamattina ho visto la faccia di Sergio con i capelli biondi lunghi e ho riconosciuto vostra figlia Chiara e poi ho visto altre facce… giovani, e addolorate, che mi hanno inevitabilmente ricordato i loro genitori. Poi questi genitori sono arrivati e a fatica li ho riconosciuti. E‘ ovvio sono passati quasi trent‘anni, poi hanno salutato Sergio e li ho ritrovati nelle voci, negli atteggiamenti e gesti. Perché quelle persone, che non mi hanno riconosciuta, le ho perse? Ascoltandole ho capito la risposta e infatti ho preferito restare invisibile.
Del resto ci tengo che tu sappia che, nonostante che non ci siamo mai più frequentati, ogni volta che ho ricordato la mia tesi di laurea, il mio ultimo anno a Bologna, ho sempre sentito molto affetto nei tuoi confronti: tu mi hai aiutato a laurearmi! Quando tre giorni fa ho saputo di Sergio, mi ha addolorato, oltre la notizia in sé, non poterti confortare. Ecco ho capito che Sergio e tu e altre persone mi siete sempre mancati. Senz‘altro con voi vicino sarei stata migliore. Ma così è la vita, pare.
Sergio ha avuto una buona vita, ha fatto il lavoro che gli piaceva, che ha scelto perché sapeva riconoscere le proprie emozioni, così, semplicemente, tenacemente e dolcemente, com‘era nel suo temperamento; ha avuto te e Chiara e tanti amici e affetto.
Troppo presto se ne è andato lasciando un vuoto tremendo. Sono molto triste. Dico una cosa banale ma è proprio così: era una parte della mia giovinezza, su quell‘indimenticabile pulmino dei Carabinieri.
Sergio fa parte del Gruppo 6 (Andrea Pasetti - giovedì 12 gennaio 2006)
Questo non è il racconto di un‘esperienza individuale, ma vuole essere la testimonianza di una storia vissuta da un piccolo gruppo di persone che si è formato un bel po‘ di tempo fa, pressappoco quando i protagonisti del racconto avevano l‘età che hanno adesso i loro figli, ed è soprattutto a loro, e ai ragazzi della loro età che viene dedicato.
L‘esperienza è stata importante per coloro che l‘hanno vissuta, ma credo che anche per altri possa valere la pena di ascoltarla perché, nonostante il tempo che è passato, mantiene intatto il suo valore e il suo significato.
Io sono semplicemente il portavoce di questo gruppo e, siccome Sergio ne faceva parte, ne fa parte, questo può essere un modo per dare voce anche a lui, adesso.
Il gruppo si chiamava “Gruppo 6” e si era formato tra alcune persone che hanno iniziato insieme la facoltà di architettura qui a Genova nel 1969.
Erano anni di movimento e di passione e ciò che ci accomunava, come tante altre persone in quegli anni, era l‘interesse non solo per l‘architettura ma soprattutto per tutto ciò che intorno a noi si stava trasformando: la politica, la cultura, la musica, i film, il nostro stesso “essere giovani”. Ci siamo incrociati nelle aule dell‘Università, ed è stato facile passare da una semplice conoscenza per preparare insieme i primi esami ad un rapporto più profondo e coinvolgente: insieme abbiamo partecipato alle assemblee e alle manifestazioni studentesche, abbiamo fatto viaggi, abbiamo visto mostre, abbiamo conosciuto persone interessanti; a un certo punto abbiamo aperto uno studio con questo “mitico” nome, Gruppo 6, nel quale, ancora studenti, abbiamo iniziato a combinare studio, vita e lavoro, consapevoli che sarebbe stato indispensabile cercare insieme una prospettiva professionale che, anche allora, non era per niente facile affrontare.
Sono stati anni di grande creatività e di grande crescita, per noi indimenticabili.
Poi, inevitabilmente, la vita ci ha diviso: Sergio ha iniziato a sviluppare professionalmente la sua attitudine per il disegno e la grafica, e così è stato per Andrea, che ha aperto anche lui uno studio grafico. Roberta ha iniziato ad appassionarsi di tessitura e si è creata un campo di attività in questo settore. Fabia insegna all‘Università, dove ha coltivato la sua passione per l‘approfondimento critico del rapporto tra uomo e città, Riccardo è dirigente in Regione e si è occupato prima di programmazione dell‘edilizia e ora di logistica, Gennaro è un affermato professionista a Londra. Enrico ha in qualche modo ereditato l‘attività dello studio, io ho fatto diverse esperienze, nel pubblico e nel privato.
Recentemente, l‘estate scorsa, cadeva il trentesimo anniversario della nostra tesi (fatta, naturalmente, in gruppo). Enrico ha lanciato l‘idea di ritrovarci tutti a festeggiare l‘avvenimento, e dopo qualche dubbio e ripensamento, ma non siamo mai stati di decisione rapida, abbiamo organizzato una cena memorabile, utilizzando come tovaglie le grandi tavole della nostra tesi. La cosa naturalmente non è particolarmente originale, ma vi assicuro che è stato bello ritrovarci quella sera e rivivere insieme qualcosa di quell‘esperienza comune.
Perché dicevo all‘inizio che questa storia vale la pena di essere ascoltata? Perché non si tratta solo di una questione di nostalgia, di un semplice ricordo del passato, ma credo che da questo racconto possa emergere qualcosa che continua ad essere intatto e vivo, e che forse può servire anche ad altri, in particolare ai nostri figli e ai ragazzi della loro età.
Ciò che voglio dire è che in realtà abbiamo trascorso insieme gli anni più importanti della nostra vita, quelli nei quali ciascuno di noi ha posto le basi per il suo futuro. Ciò è avvenuto all‘interno del gruppo in una relazione tra noi che è sempre stata di grande libertà e, nello stesso tempo, di condivisione e di solidarietà. In questa sfera di amicizia ciascuno di noi ha potuto capire meglio sé stesso, le sue vocazioni e le sue capacità, trovando negli altri, allo stesso tempo, occasioni di confronto e affetti. E‘ stata una grande esperienza e spero che tanti altri possano viverne una analoga negli anni della loro formazione.
Vorrei anche dire che nonostante tutti i cambiamenti individuali e collettivi, il valore di questa esperienza ed il segno profondo che ha lasciato nella nostra vita non finiranno mai, e Sergio, uno di noi, continua ad essere presente in questa impronta.
Quello che muore (Giovanna Arcuri - giovedì 12 gennaio 2006)
quello che muore
sono i colori dal bianco all‘ocra – chiamati
mattutini. Non sono
separabili dalla materia, condannato
il pittore che si provasse a rifarli.
. . . . . . . .
Scivola un campo nel successivo colle macchiato di verde
ma nulla toglie che si ritorni sopra col bianco, il seppia
muti il confine, s‘apra uno spazio, sorga
una fila azzurrina d‘alture.
Queste sono le due immagini tratte dalla poesia “Quello che muore” da:
Cesare Viviani, Preghiera del nome, “I poeti dello Specchio”, Mondadori
che dedico a Sergio
Siamo tutti qui insieme (Ferruccio Giromini - giovedì 12 gennaio 2006)
Siamo tutti qui insieme, ancora una volta, con Sergio. E sappiamo che non è l‘ultima volta. Sappiamo – almeno quelli di noi che hanno avuto il bene di frequentarlo personalmente, da amici – sappiamo bene che resterà con noi, dentro di noi, per il resto della nostra vita.
Questo non è un addio, dunque. È invece un momento per rinsaldare ulteriormente un‘amicizia: con lui, e pure tra di noi – in nome suo, grazie a lui.
Per questo mi scuserete se voglio parlare un poco di Sergio non al passato, ma al presente. Non è un artificio retorico, è quasi una constatazione: senza parere, negli anni, lui ci ha dato talmente tanto che oggi è ormai, indiscutibilmente, anche un pezzo vivente di noi stessi.
Ora, non so se tutti coloro che sono qui dentro ne fossero amici o conoscenti diretti. Mi scuso di nuovo, pertanto, con chi lo conoscesse solo come artista. Però la maggioranza di persone qui dentro ha avuto la fortuna di conoscerlo come uomo e come amico – e la maggioranza, in democrazia, vince.
Allora, noi maggioranza abbiamo pensato di utilizzare questa occasione rovesciandone, in un certo senso, le premesse – con una mossa un po‘ a sorpresa, che siamo certi piacerebbe anche a lui.
Oggi, insieme, vogliamo celebrare un rito di coesione sociale: per elaborare l‘occasione di lutto, certo, ma anche per affermare – con Sergio e grazie a Sergio – che nella coesione sociale tutti noi crediamo fermamente.
Ecco, al di là di tutto quello che si può dire, e che pure si è detto, di Sergio Fedriani come artista e come uomo, noi, qui, oggi, vorremmo riaffermare la sua essenza profonda di artista e uomo sociale, generoso: che sa stare con gli altri, che ama stare con gli altri, che sopra ogni cosa ama l‘arricchimento che deriva dallo scambio di esperienze umane, affettive, intellettuali.
Per questo, nell‘occasione che lui ci offre oggi, abbiamo pensato di mettere assieme alcune tra le tante cose che piacciono a lui con alcune tra quelle che danno gioia a noi, per dar vita a un ennesimo scambio, un‘occasione di condivisione, di riflessione, chissà, magari anche di crescita.
Ora ascolteremo insieme, insieme con Sergio, musiche e parole: qualche pagina di poesia e di prosa, e anche melodie e ritmi di epoche diverse, di diverse provenienze geografiche, in lingue diverse. Genova è o non è una capitale della multiculturalità?
Ecco, appunto. Ancora questo c‘era da dire: il genovese Sergio Fedriani è un esempio del meglio della genovesità. Riservatezza, laboriosità, understatement – ma anche curiosità, vivacità intellettuale, disponibilità estrema nei confronti del nuovo, del diverso, pure dell‘ignoto. Senza preconcetti, senza preclusioni.
E non solo nel sogno, come potrebbe risultare più evidente, ma nella realtà. (Anche se si può dire che l‘esercizio costante della fantasia può allenare molto bene ad affrontare le sorprese che sempre riserva la realtà.)
Credo di non sbagliare, comunque, affermando che siamo tutti fieri di condividere con lui questa appartenenza a una razza mista, almeno culturalmente, come questa ligure e marinara: una razza non pura e immobile, per fortuna, ma meticcia e in continuo movimento. E una razza sognatrice, nondimeno, con tutto quel mare che ci si apre davanti!
La curiosità, la cultura, la pazienza, la quieta irrequietezza di Sergio Fedriani, caro compagno di strada, ci sono e ci saranno d‘esempio nel futuro. E di questo non finiremo mai di ringraziarlo.
"La mer" di C. Trenet (Alfredo Alacevich - giovedì 12 gennaio 2006)
Per il 3 giugno del 1993 Sergio "dolcemente" obbligò Rossella e me ad imparare alcune canzoni francesi da eseguire alla sua mostra presso la Galleria San Lorenzo.
Da allora è entrata nel mio repertorio una tra le sue canzoni preferite, che ci lega per sempre.
Riporto il testo per tutti gli amici: "La mer" di C. Trenet:
La mer
Qu'on voit danser le long des golfes clairs
A des reflets d'argent
La mer,
Des reflets changeants
Sous la pluie ...
La mer
Au ciel d'été confond
Les blancs moutons
Avec les anges si purs,
La mer bergère d'azur
Infinie.
Voyez
Prés des étangs
Ces grands roseaux mouillés.
Voyez
Ces oiseaux blancs
Et ces maisons rouillées
La mer
Les a bercés
Le long des golfes clairs
Et d'une chanson d'amour, la mer
A bercé mon coeur pour la vie.
Dalle "Confessioni di un ottuagenario" di Ippolito Nievo (Patrizia Imperato - giovedì 12 gennaio 2006)
E' stato un romanzo da entrambi riscoperto, che ci ha emozionato e commosso, perciò ho scelto, per ricordare Sergio, parole tratte dalle Confesioni di un Ottuagenario di I. Nievo.
"La vita è quale ce la fa l'indole nostra, vale a dire natura ed educazione: come fatto fisico è necessità, come fatto morale ministero di giustizia.
Chi per temperamento e persuasione propria sarà in tutto giusto verso sé stesso, verso gli altri, verso l'umanità intera, colui sarà l'uomo più innocente, utile e generoso che sia mai passato pel mondo.
La sua vita sarà un bene per lui e per tutti, e lascerà un'orma onorata e profonda nella storia della patria."
Un ricordo di Sergio (Enrico Pedemonte - giovedì 12 gennaio 2006)
Alcune settimane fa, forse un paio di giorni dopo Natale, quando era ricoverato al San Martino, Sergio mi disse che quello che stava vivendo era certo uno dei due momenti più brutti della sua vita. Ma poi, un po‘ per gioco e un po‘ per scaramanzia, disse che il momento più brutto era stato trent‘anni fa quando faceva il militare a Roma, alla Cecchignola. Questo ricordo mi ha aperto uno squarcio sul passato, sugli anni in cui ho cominciato a volergli bene.
Noi ci eravamo conosciuti nei primi anni Settanta, quando ancora eravamo studenti all‘università, ma forse iniziai davvero capire come era fatto quando andò a militare, subito dopo la laurea, credo che fosse il 74 o il 75. Per Sergio il militare fu un‘esperienza devasatante. Quando tornava a Genova in licenza ci raccontava, con uno sdegno che gli soffocava la voce, il clima di sopraffazione che trionfava nella caserma, i mille episodi di ingiustizia e di violenza a cui assisteva ogni giorno, e di cui spesso era vittima. Ricordo che mi ritrovavo a pensare che altri giovani che conoscevo avevano avuto brutte esperienze durante la leva, ma che erano sempre riusciti a superarle trovando ciascuno una scorciatoia per adattarsi e convivere con quel clima. Sergio non era in grado di adattarsi alla violenza e alla volgarità. Le subiva. Quella esperienza lo segnò profondamente – ne parlò per anni, ogni volta sdegnandosi come se fosse accaduto il giorno prima.
Ho sempre pensato che quella sia stata una delle esperienze più importanti della sua vita. Negativa certo, ma importante perchè lo ha obbligato a guardarsi dentro e a capire quali erano i valori che davvero gli importavano. Mi ricordo che in quegli anni, quando Sergio decise di lasciare gli abiti dell‘architetto e di vestire definitivamenbte quelli del pittore, mi trovai a pensare che forse l‘odio per la violenza e la volgarità che aveva maturato durante il militare lo spinsero non solo a maturare il suo antimilitarismo e il suo pacifismo a oltranza, ma anche a fare la sua scelta artistica definitiva.
Sergio era completamente incapace di violenza e subiva la violenza della vita, nel suo quotidiano e nella politica, come un‘offesa che lo feriva e lo lasciava impotente. Non c‘è mai, nelle sue opera, una sola traccia di violenza. Le nuvole sono morbide come cotone, il cielo ha tutte le sfumatura d‘azzurro, i toni sono lievi, i personaggi leggeri e ironici. Sergio era esattamente così. Ogni tanto, quando riuscivo a fare un salto nel suo studio e lui mi sfogliava davanti agli occhi le sue ultime opere, pensavo che in realtà mi stava mostrando l‘anima.
Il momento magico da trascorrere con Sergio era il viaggio. Partire con lui era una sorta di rito magico che avveniva per tappe graduali. Quando partivamo Sergio stava per alcuni giorni inoperoso, incapace di disegnare. Fossimo nelle città slave o sul sentiero di Santiago di Campostela, in Provenza o a Siracusa, in Corsica o a New York, Sergio passava i primi giorni a osservare. Era come se stesse incorporando i colori che lo circondavano nei suoi occhi. Poi, dopo qualche tempo, sfilava dalla borsa il suo diario di viaggio, un libretto zeppo di schizzi , e cominciava a riempirlo di colori, che poi spesso trasformava in indimenticabili cartoline agli amici. Ma tutto veniva trasfigurato dalla sua fantasia e noi che avevamo il privilegio di essere lì con lui, se vedevamo che tardava a prendere in mano la matita e i pennelli protestavamo e lo minacciavamo scherzando di licenziamento dal suo ruolo di artista itinerante. Quando due anni fa ci rivelò il suo progetto di raccontare i suoi viaggi in una mostra, trasfigurando come in un sogno i suoi schizzi e i suoi ricordi, ci disse anche che si trattava in un certo senso di una mostra collettiva, perché lì dentro c‘eravamo tutti noi, tutti quelli – e molti sono qui – che hanno avuto il privilegio di assaggiare pezzetti della sua vita.
Qualche mese fa Giulia ha scattato una foto che rappresenta una spiaggia completamente deserta con al centro una cassetta delle lettere su cui è scritto “i sogni” e mi ha detto: quella foto l‘ho fatta per Sergio, perché sembra un suo quadro. Isabella mi ha confessato che per molto tempo non riuscirà a vedere una mostra, a entrare in un museo senza sentire la voce di Sergio che ce la spiega, che ci racconta con il suo linguaggio ricercato e avvolgente l‘anima degli artisti, la loro biografia, la loro grandezza. Sergio era per tutti noi sinonimo di sogno e di poesia, e non tanto perché era un artista, ma perchè era un uomo generoso ed aveva la capacità, rara, di usare il suo talento, la sua morbidezza nei toni, il suo amore per la bellezza ed il buon gusto, nei piccoli gesti della vita quotidiana, nei rapporti umani.
Persino nelle settimane scorse, all‘ospedale, usava parole lievi per spiegare quello che gli stava accadendo. Una volta, durante una visita, mi ha detto sorridendo che stava vivendo un‘esperienza “onirica”, come se l‘effetto dei calmanti fosse solo l‘ennesimo sogno della sua vita. Non ha mai avuto un solo gesto di ribellione per quello che gli stava capitando, forse aveva paura di fare un torto quelli che lo stavano assistendo. Anche in questo caso “aveva paura di disturbare gli altri”, come quando eravamo in viaggio e temeva di farci perdere tempo se si fermava a catturare uno scorcio di natura, o un edificio in uno schizzo. Non capiva che noi non vedevamo l‘ora che lo facesse, per poter vedere le cose che avevamo intorno attraverso i suoi occhi.
Ieri Chiara mi ha detto che avverte un immenso senso di vuoto, e che non sa come farà a riempirlo. Non ho saputo che cosa risponderle. Forse l‘unica cosa che posso dire, a Chiara e a Piera e a tutti noi, è che con il vuoto che sentiamo oggi stiamo tutti pagando l‘immenso privilegio che ci è stato dato nell‘averlo avuto vicino in passato.
A Sergio Piera e Chiara (Francesca Cardona - giovedì 12 gennaio 2006)
I ricordi sono tanti: da quelli sbiaditi degli anni del liceo a quelli ancora cosi‘ vivi dei giorni passati insieme solo due mesi fa.
In tutti Sergio si staglia con il suo sorriso, il suo calore, la sua gentile ironia.
Le sue immagini popolano le nostre case, scandiscono le nostre routine quotidiane.
La sua poesia, i suoi colori arricchiscono i nostri futuri.
Intervento per Sergio (Elisabetta Rossi - giovedì 12 gennaio 2006)
Per tutti noi, che abbiamo avuto la fortuna di averlo come compagno di viaggio, sarà molto difficile imparare a fare a meno di Sergio.
Sarà comunque sempre con noi ogni volta che ci riuniremo intorno a un tavolo con un bicchiere in mano, quando apprezzeremo un‘opera d‘arte (anche se, per quanto mi riguarda, senza le sue discrete, ma fondamentali, chiavi di lettura mi perderò un sacco di cose) e ogni volta che guarderemo incantati qualche angolo di questo nostro mondo che lui sapeva fermare per noi in quel suo modo speciale e affettuoso.
La sua è stata una fedele e calda presenza ai concerti del mio coro e voglio dedicargli oggi un Sanctus di Caldara che gli era molto piaciuto.
Il pannello realizzato da Firma (Beppe Veruggio - giovedì 12 gennaio 2006)
A metà dell'opera (Alessandra Schiaffino - giovedì 12 gennaio 2006)
Sono venuta a lavorare e non riesco a staccare il pensiero da te, da Chiara ma ancora e ancora da Sergio e dalla palpabile rete di affetti profondi che ha creato con il suo modo di essere e di vivere la vita.
Sono qui in un posto un po' squallido dove viene gente che ha tanti problemi gravi e sulla parete c'è il manifesto della mostra di Sergio "La vita è sogno". L'avevo portato io tanto tempo fa, mi sembra che sia con noi da sempre. In uno degli ultimi traslochi si era pesantemente rovinato, ci siamo guardati e ci siamo messi al lavoro con scotch, forbici, una cornice nuova. Non vogliamo o non possiamo farne a meno. Vedi, la gente che lavora con me non conosceva Sergio, ma quei colori, segni, parole erano entrati dentro, una cosa buona, una compagnia positiva, anche qualcosa che tiene insieme.
Così stamani, Sergio che tiene uniti attraverso gli affetti, le parole, i simboli che permettono di ricordare, pensare, capire, capirsi, condividere, sospendere, annodare e riannodare fili.
Il primo ricordo che ho di Sergio è sulla neve di Bardonecchia da studenti, credo ginnasiali, eravamo sia io che lui tra quelli più imbranati, con attrezzature sciistiche raccogliticce e antiquate, le inevitabili cadute, quasi da vignetta umoristica, a palla contro un albero, ricordo il suo sorriso, senza baffi ma quello di sempre.
Mi hai detto che quel sorriso l'ha portato con sè e l'ha regalato a chi gli stava vicino fino all'ultimo.
Mi dispiace tanto non averlo neanche salutato con un gesto, dalla porta. Tutto è stato così veloce!
Me lo continuo a raffigurare con un pennello in mano, come se la malattia lo avesse colto a metà di una pennellata, di un'opera, a metà dell'opera, poi però l'immagine cambia e prevale il senso di un tutto intero che si compone, pieno.
La scomparsa di Sergio Fedriani (Ferruccio Giromini - mercoledì 11 gennaio 2006)
Giunto al capolinea di una malattia incalzante e inesorabile, appena cinquantaseienne, ieri mattina si è spento a Genova il pittore e illustratore Sergio Fedriani, “figurinaio” tra i più noti e amati in città. I suoi disegni, i suoi acquerelli, le sue incisioni, sempre riconoscibili a prima vista per la speciale cifra stilistica surreale, deliziosamente umoristica e appena lievemente malinconica, campeggiano rasserenanti sulle pareti di numerose case cittadine. I suoi luminosi orizzonti marini, i suoi cieli intensi stellati come nei presepi, i suoi infagottati omini sempre intenti a sognare, quelle brezze che sollevano e rendono leggero qualsiasi oggetto, quelle nuvole, navi, cipressi, gabbiani, pesci, oramai di fama internazionale, fanno parte eppure a pieno titolo dell‘immaginario ligustico del Novecento, precisamente accanto ai bimbetti di Luzzati, ai pensionati di Mangini, agli anarchici di Costantini, ai pirati di Bottaro, agli schietti popolani degli Origone. Ce ne rendiamo conto solo ora che, dopo trent‘anni di traboccante aspersione d‘incantevoli idee visive, tale fonte meravigliosa d‘improvviso si è prosciugata.
È dal 1977, quando Fedriani decide di lasciare l‘attività di architetto esercitata col Gruppo Sei, che i suoi disegni prendono a circolare pubblicamente, dapprima su riviste e libri e in mostre per gallerie private, poi ben presto a decorare confezioni e calendari (anche per la Fiat), e via via per oggetti di vario uso, scenografie, e pure per le fiancate di un “ArtBus” dell‘Amt genovese. Oltre a prestigiose testate nazionali quali “Linus”, “L‘Espresso”, “Il Corriere Medico”, “Capital”, “Il Sole 24 Ore”, “Wimbledon”, “ViviMilano”, negli anni collabora con entusiasmo e generosità a tutte le principali sigle editoriali genovesi, da quelle più consolidate, tra “La Riviera Ligure” e “Il Secolo XIX”, fino a quelle più avventurose: dagli esordi sulla rivista “Sgt. Kirk” alle sperimentazioni di “Imagocritica” e da tutte le pubblicazioni firmate Feguagiskia‘studios (“La Bancarella”, “Andersen”, “NBN_New Book News”) a vari libri delle editrici cittadine Io e gli altri, Erga, EdiColors.
Il suo mondo di fantasia, che squaderna folgoranti idee oniriche, quasi dei calembour visuali, affidandosi a una figurazione di purezza incantevolmente infantile, a sorpresa appare adatto per quasi qualunque applicazione ed utilizzo. Se ne assicureranno la collaborazione inventiva, dagli esiti immancabilmente felici, ora il Teatro dell‘Archivolto (per le scene di spettacoli come La grammatica della fantasia da Gianni Rodari e I cavoli a merenda da Sergio Tofano), ora lo studio De Jorio (per pannelli decorativi delle motonavi del gruppo armatoriale Grimaldi), ora il Gruppo Cronisti Liguri (per Cronaca di un anno di cronaca), ora l‘Istituto Nazionale di Fisica della Materia (con diverse stampe-strenna di pregio), senza contare tante iniziative umanitarie e benefiche, come per l‘Associazione Italiana Sclerosi Multipla o la Cooperativa Sociale La Comunità.
Appaiono così subito evidenti alcuni tratti fondamentali del suo carattere: la sensibile disposizione alla dimensione sociale del vivere, la pronta disponibilità umana, il disinteresse ai lati più materiali dell‘esistenza, la sostanziale gentilezza d‘animo e magnanimità nell‘offerta di se stesso. Può ampiamente testimoniare tutto ciò la larghissima schiera di amicizie sincere che è riuscito a raccogliere intorno a sé nel corso della sua vita, con facilità, presentandosi soltanto com‘era. Poeticamente se stesso.
Quando scompare un artista, la retorica vuole che si plauda alla sua arte. Sarebbe fin troppo facile farlo lanciandosi in ricercati pareri che dimostrino in quali arcani modi Fedriani abbia saputo fondere, nella sua composita espressività arduamente classificabile, l‘acrobatica asciuttezza concettuale di Saul Steinberg con il brio cromatico di Lele Luzzati, l‘humour noir di Roland Topor con il paziente tratteggio incisorio di Edward Gorey, il rigore elegante di Dino Battaglia con l‘estasi dissolutoria dell‘acquerello di Jean-Michel Folon. Viceversa è ben più difficile trovare le parole quando scompare un uomo e un amico, amato da molti (da tutti?) d‘un profondissimo sentimento fraterno. Sergio resta indimenticabile, per chiunque l‘abbia conosciuto personalmente, ancor meno per i suoi disegni che per la sua presenza, discreta ma sempre calda; per la sua sorprendente cultura, classica come moderna, e letteraria come musicale, e pittorica come cinematografica; per la sua umanità soprattutto, per il suo sorriso contagioso, per le sue sacrosante indignazioni civili, per il suo senso dell‘umorismo. Per com'era e per come non è più. Sarebbe bello e sarebbe giusto, considerano in tanti, che almeno adesso la sua città trovasse come ricordarlo in qualche modo ufficiale e duraturo.
Sento di averlo ancora presente (Giovanni Marras - martedì 10 gennaio 2006)
"La perdita di Sergio è una perdita per l'intera umanità": così Daniele e Nicoletta quando si erano sparse le prime allarmanti notizie sullo stato di salute di Sergio.
Queste parole hanno continuato a venirmi in mente in queste lunghe settimane quando notizie diverse si alternavano sulle condizioni di Sergio: in tutti questi anni in cui le vicende della vita ci avevano fatto perdere di vista, e negli occasionali e sempre rapidi incontri soprattutto con Sergio in Canneto, Banchi e dintorni, in cui ci scambiavamo sincere promesse di prenderci di lì a breve tranquille serate per chiacchierare di Chiara, di Daniele e Francesco, di noi e dele mille cose che ci erano successe, avevo pensato che tra noi c'era come una sorta di pausa, di intervallo al termine del quale il nostro discorrere sarebbe ripreso dal punto in cui lo avevamo lasciato sospeso. Credo che capiti di tutti i rapporti che si sono creati in una determinata fase della propria esistenza: la frequentazione fisica può allentarsi, dare anche l'impressione di svanire, ma il rapporto, la sintonia rimane e la musica, la danza, riprende appena la vicinanza si ristabilisce; essendo cresciuti insieme in un tratto della nostra esistenza, in un qualche modo uno rimane comunque dentro l'altro.
Questo, più o meno, il legame con Sergio (...ma anche con te Piera, con Enrico, con Mauro e così via...)ma le parole di Daniele mi hanno fatto capire che Sergio era ben di più; lo era per Daniele (non mi ero reso conto fino a che punto Sergio fosse entrato nel cuore di quello che era allora un bambino prima e un ragazzino poi), ma lo era per una comunità infinitamente più ampia, l'umanità di cui diceva Daniele, per tutte le tantissime cose che aveva creato, i sogni che attraverso le sue opere continuano a parlarci e sembrano nostri.
Non credo di avere mai incontrato nella vita una persona come Sergio, in cui il mondo interiore e l'esperienza di vita rifluissero continuamente e così in armonia dall'uno all'altra, arricchendo tutti coloro che Sergio avvicinava, e tutto questo parla anche adesso in ogni tela, in ogni cartone, in ogni cartolina anche di semplici auguri natalizi.
Così la memoria di Sergio può essere anche dolce e blanda: quando lo sapevo per Genova, con te, con Chiara, i comuni amici. non sentivo di poterlo perdere.
Ora che lo ho perso, sento di averlo ancora presente...davvero quelli che noi crediamo morti, sono soltanto andati avanti...
Sono rimasta un po' in disparte (Federica Costa - domenica 1 gennaio 2006)
Cara Piera,
in questi giorni di grande frastuono non volevo essere di troppo, un'invadenza forzata. Per questo sono rimasta in disparte, non mi hai vista nè sentita. Ci tengo però a dirti con sincerità che, silenziosamente, che tu e Chiara e Sergio siete stati e siete nei miei pensieri e nelle mie emozioni.
Auguro affettuosamente a te e a Chiara di imparare a vivere, senza troppa fatica, con questa grande mancanza e di "svegliarvi" un giorno in cui, al posto del dolore, troviate quiete e serentà nella dolce malinconia dei vostri ricordi.